CASA SENZA TETTO

Abitazione tra artificio e natura

Bergamo cliente privato 2021 – Ongoing

Esistono luoghi che evocano in noi emozioni, fantasie e ci portano a immaginare. Ci sono architetture abbandonate, riconquistate dalla natura che stimolano in noi tali fantasie. In questi luoghi potrebbero esistere animali, “bestie” architettoniche, nascoste tra le mura pre-esistenti che cercano riparo o una nuova condizione d’essere. L’incipit progettuale si pone la volontà di mantenere lo spazio conquistato nel tempo dalla natura e generare una continua ambiguità tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori. Il progetto è una casa senza tetto, all’interno di antiche mura dove la natura ha ormai preso il sopravvento. Il principio generatore cerca una negoziazione tra la struttura preesistente e la nuova, tra la natura che ha conquistato lo spazio e l’artificio che viene abitato. Uno spazio esterno che sembra un interno e viceversa. E’ un’architettura senza tetto, un susseguirsi di giardini dove non esiste confine tra natura e artificio.

Nuovi volumi in acciaio e vetro instaurano una trattativa tra gli spazi che furono e quelli che saranno, tra spazi addomesticati (o domestici) e selvatici. La volontà è quella di calare all’interno delle vecchie mura nuovi volumi indipendenti, che lasciano la natura inalterata. E’un “microcosmo”, un “ortus conclusus”, un luogo separato dal resto del mondo, all’interno del quale avviene una delle più antiche forme di contrattazione tra natura e uomo. Si tratta di una azione arcaica, primitiva, un “do ut des”. “Se la costruzione aveva sottratto alla Natura un luogo, ora gli agenti atmosferici e le piante lo riportano, dopo tanti mutamenti, allo stato antecedente. 

Un luogo non progettato, indeciso o ambiguo, tra ciò che è interno e ciò che è esterno, tra ciò che è naturale e artificio, è un lavoro sul limitare. Si tratta di uno spazio di contrattazione tra la selva e l’artefatto. Sono spazi “residui” (2), precedentemente abitati, riconsegnati alla natura, dove la volontà è quella di cogliere questa naturalizzazione come una opportunità di spazio domestico in contatto con essa. I nuovi volumi metallici vibrano tra le vecchie pietre, dominate dalla natura e ci stimolano a guardare alla rovina in modo inedito, (3) con nuova percezione, abitandola a diverse quote. (4) Come una rovina piranesiana, avvolta nella vegetazione, e popolata di figure fantasmagoriche, i nuovi volumi assumono una dimensione ancestrale.

NOTE

  1. Wislawa Szymborska, Autotomia 1983, in S. Marini, G. Corbellini, Recycled Theory: Dizionario Illustrato, Quodlibet, 2016 – voce: Riciclo (R. Bocchi) 
  2. Gilles Clèmant, Manifeste du Tiers paysage, Éditions Sujet/Objet (2004)
  3. Marc Augè, Rovine e Macerie: Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino     (2004) 
  4. Peter Zumthor, Thinking architecture, Birkhauser architecture, Basilea, pp.14, (2010)

 

crediti fotografici – marcellomarianafotografie

 

HOME